Non si hanno purtroppo notizie storiche documentate riguardo alle sue origini. Ma questo silenzio depone a favore dell’antichità carnevalesca del "Povero Piero": un’antichità vertiginosa che affonda paganeggianti radici nella terra trezzese. I ricordi e le testimonianze degli anziani ce lo tramandano come un anonimo "fantoccio", rappresentante un fattore o un potente proprietario terriero, che per le sue malefatte e i suoi soprusi veniva, nel corso di una rivolta contadina, dapprima sbeffeggiato e deriso e quindi simbolicamente messo al rogo. E così, nel tempo, rappresentando di volta in volta una qualsivoglia forma di potere, o più semplicemente l’inverno passato o altro ancora, il pupazzo del Povero Piero, nel giorno di sabato, tra scherzi, balli e travestimenti veniva fatto sfilare per le vie del paese e alla fine bruciato sulla piazza del Castello. Il nome di Piero gli venne assestato solo sul cadere dell’Ottocento quando il rione della Valverde, in sfregio al clero locale, propose di vestirlo in nero tonaca. I prevosti locali osteggiarono l’iniziativa radunando i giovani in oratorio o indicendo a gran voce Adorazioni Eucaristiche finchè, negli Anni Sessanta, l’esecuzione del fantoccio venne sospesa per essere ritrovata solo poi dimentica di ogni sacrilega valenza. Cos’è allora oggi il carnevale del "Povero Piero"? Con il trascorrere degli anni, con l’evoluzione della società, pur mantenendo l’involucro dell’antica festa, al pupazzo del "Povero Piero" si sono coniugati altri simboli, positivi e fantastici, come si conviene per una festa di carnevale che deve essere una festa gioiosa di tutti e per tutti. Purgato di ogni slancio paganeggiante o anticlericale, il fantoccio è scortato alla pira solo per lo stupore dei bimbi e l’inatteso falò nella notte. Il luogo del "sacrificio simbolico" è oggi il fiume Adda. Acqua e fuoco uniti sono forze potenti per la vita umana e addomesticarle è da sempre sinonimo di ricchezza e fecondità.