Il più antico cronista potentino, l’arcidiacono Giuseppe Rendina che a metà del ‘600 scrisse la «Istoria della città di Potenza» non fa cenno della manifestazione popolare che si tiene in città il 29 maggio e che è comunemente denominata sfilata dei Turchi; e lo stesso silenzio tengono tutti coloro che misero mano, per continuarlo, a quel manoscritto, fino al 1780. Tace anche il Viggiano, autore, nel 1805, delle «Memorie della città di Potenza» e Bonaventura Ricotti, nel saggio sul capoluogo lucano scritto nel 1845 nell’Enciclopedia dell’Ecelesiastico. Raffaele Riviello, in «Usi e Costumanze della città di Potenza», da una dettagliata descrizione della sfilata dei Turchi che «approdati ai lidi dello Ionio; si spinsero poi conquistatori sino alle nostre contrade. Riviello ricorda anche un fatto che potrebbe essere ricollegato alle origini della tradizionale sfilata: nel 1148, come è riportato dal Viggiano, il normanno Ruggero II ricevette a Potenza, in visita, Ludovico di Francia che, ritornato dalla crociata, era in quei frangenti stato catturato dai Saraceni e liberato poi appunto dai Normanni. Giacomo Racioppi in «Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata», fornisce una interpretazione che sarà poi accettata dal Tripepi nel 1882 (in Curiosità storiche di Basilicata): l’interpretazione si rifà ad una leggenda beneventata del secolo VII contenuta in un manoscritto che sarebbe stato reperito nell’archivio della Cattedrale. Secondo tale manoscritto, Valeriano, preside di Cartagine, avrebbe tradotto da Adrumeto in Africa a Roma dodici fratelli cristiani martirizzandoli durante il percorso. Durante il tragitto per mare, racconta il Racioppi e poi il Tripepi, essendo sopraggiunta una tempesta, Valeriano incita i cristiani a farla cessare per intercessione del loro Dio; al che, dopo le preghiere dei martiri, la tempesta effettivamente si placa e molti soldati si convertono. Ciò nonostante, non si placa l’ira di Valeriano. Quando, «reclito navigio tandem venerunt in civitatem Potentiam», qui Valeriano, il 2 settembre avrebbe fatto decapitare quattro dei dodici fratelli: Oronzio, Onorato, Fortunanziano e Sabiniano. Dal che, secondo i nostri autori, Oronzio fu protettore della città fino al 1120, prima cioè che il protettore fosse il vescovo Gerardo da Piacenza: secondo questa interpretazione, nella fantasia popolare che dette origine alla sfilata Valeriano è trasformato nel Gran Turco, persecutore dei Cristiani. Francesco Cappiello, in un articolo del 1927 su «Basilicata nel mondo», non presta fede a questa interpretazione che reputa non calzante rispetto alla simbologia espressa dalla manifestazione popolare. Una originale versione ci viene fornita da Mario Brienza, autore di un opuscolo edito nel 1955 a cura dell’Archivio Storico per le Calabrie e la Lucania: la sfilata potentina sarebbe da ricollegare alla battaglia di Vienna contro i Turchi il 1683. Il Brienza trova strano il silenzio, su quella festa popolare, dei più antichi cronisti: gli sembra troppo forzata la versione di Racioppi e priva ugualmente di fondamento l’interpretazione secondo la quale la processione dei Turchi ricorderebbe il ritorno di uno dei conti Guevara, feudatari di Potenza, da qualche «scaramuccia», con ostentazione di trofei saraceni. Il Brienza osserva il rituale Barocco della Processione: «vestimenta esotiche, sgargianti, pacchianesche, bimbi che incedono a cavallo in piccoli abiti pontificali o in lillipuzziane armature angeliche, Mori e Turchi in fez e turbante, cavalli infestonati con campanelli e sonagli «Gran Turco» e deduce che la parata popolare sia nata appunto nel ‘600. La notizia della battaglia di Vienna, dice il Brienza, arrivata a Potenza probabilmente nell’ottobre del 1685, avrebbe fatto nascere l’idea di un festeggiamento, poi collegato alla festa popolare cristiana del 29 maggio successivo. Non si conosce pertanto con certezza il secolo di origine della manifestazione popolare. Per ciò che concerne il medioevo, le feste dei patroni non venivano citate nella decretale di Gregorio IX come giorni festivi e comandati, anche se venivano osservati come tali e con riti non del tutto ammessi dalla chiesa ufficiale: caratteristica della festa popolare è infatti il suo carattere «profano» e liberazione, rilevatore di bisogni molto spesso trasgressivi, di esigenza di «rovesciamento dei ruoli», con collegamenti e preesistenze di riti pagani o magici. Già Raffaele Riviello nel 1894 lamentava una raffreddamento dell’antica consuetudine. Negli anni ’30 l’autorità ecclesiastica ridimensionò la festa, proibendo l’uscita dalle chiese delle dodici statue che seguivano la sfilata; pare che il Vescovo tentasse di sopprimere, ma senza riuscirci, anche la manifestazione stessa. Nel 1957 la sagra dei Turchi perde definitivamente il suo carattere popolare: da manifestazione contadina, organizzata per lo più da «bracciali» e guardata con un certo disprezzo dagli altri ceti, diventa un episodio «organizzato» e pilotato, con sceneggiatura, costumi preconfezionati, regia. Da quel momento in poi la sfilata perde il carattere, che doveva aver avuto, di trasgressione testimoniato da più fonti: il rumore assordante dei campanelli e dei tamburi, le grida dei partecipanti ed in particolare del «capo paranza» (Rutigliano ricorda i famosi «Fioravante e Zuzù» che organizzavano la manifestazione prima del 1915, le battute sagaci che i contadini si scambiavano fra di loro e rivolgevano agli spettatori. Gli spettatori «non muovevano ciglio o labbro, quantunque nel passaggio la gente volesse bersagliarli con frizzi pungenti e con clamorose risate» (Riviello): si trattava evidentemente di un momento in cui, dietro lo schermo protettivo e mediato del rito «tutto era permesso» ed in particolare lo sfuggire alle angustie ed alle restrizioni di vita, di costume e di ossequio ai «galantuomini», della vita quotidiana. Nel 1957 dunque proprio negli anni in cui radicalmente muta la struttura sociale ed urbanistica della città, la festa perde la sua ragione d’essere come manifestazione popolare, organizzata dalle contrade e dai comitati spontanei, e diventa quello che è oggi. Nel 1957 Paolo Santarsiere, allora presidente del Comitato festeggiamenti del Santo Patrono, invitò Tonino La Rocca, a collaborare per la realizzazione della sfilata dei Turchi. Fu organizzata un’assemblea presso il Circolo Amici dell’arte e vi parteciparono alcuni cittadini noti per la loro sensibilità e la loro devozione presso San Gerardo. Su proposta del Dott. Gerardo Salinardi e dell’Avv. Giulio Stolfi, l’assemblea proclamò unanimemente di ambientare la sfilata nel 1100. Con l’interessamento di Paolo Santarsiero, si riuscì ad avere un bozzetto molto bello e una relazione sui Turchi realizzati da Michele Spera e sulla scorta di tale bozzetto fu disegnato da Tonino La Rocca a colori l’intera sfilata su di un rotolo di carta lungo 12 metri. Da allora la sfilata prese l’aspetto che ancora oggi vediamo, naturalmente il numero delle comparse era limitato per mancanza di fondi. Nel 1967, la compagnia del Teatro Stabile «Città di Potenza», prese l’iniziativa di realizzare la sfilata artisticamente ed invitò il Comune a patrocinare la manifestazione; patrocinio che l’amministrazione di allora, capeggiata dal sindaco Franco Petrullo, concesse. Ancora oggi l’amministrazione Comunale continua a finanziare la «Processione dei Turchi» che dal punto di vista progettuale ed organizzativo è passata all’Ufficio Cultura Comunale che, sulla scorta dei suggerimenti e delle indicazioni espresse dall’Amministrazione, ha elaborato un progetto che si rifà alla tradizione orale cittadina ed a ciò che hanno tramandato i nostri avi. Tale progetto vuole dare alla «Processione» non solo una dimensione altamente spettacolare, ma soprattutto restituire questo patrimonio culturale al popolo. Questa favola ci è stata tramandata ed è nostro intendimento abbellirla ed a nostra volta restituirla al popolo che ne deve essere l’artefice principale.